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Resilienza familiare in casi di disabilità.

Con il termine “resilienza” si intende per definizione la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi, ed in psicologia, la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.

L’attività di Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva mi consente quotidianamente di toccare con mano difficoltà immani che le famiglie si ritrovano ad affrontare dinanzi a casi di disabilità o gravi malattie che colpiscono uno dei membri, specie se si tratta di un figlio e se costui ha dei fratelli, sui quali inevitabilmente ci sono ripercussioni di vario genere: fisico, psicologico, emotivo-affettivo.

Si tratta di eventi percepiti il più delle volte come drammatici ed è necessario comprendere il disagio che provano i genitori ed i fratellini di un bambino con disabilità, affinché sia possibile prevenirlo ed evitare che si estenda. I genitori dei bambini con disabilità mettono in atto processi spontanei per far fronte alla sofferenza senza negarla, piuttosto cercando di crescere dentro usando ciò che di positivo la vita può offrirgli, utilizzando strategie di coping per promuovere nuovi adattamenti e far emergere aspetti e potenzialità di sé finora sconosciuti, mettendoli a servizio degli altri nei casi migliori. Definiamo resilienti queste persone, attribuendo loro una qualità meccanica dell’acciaio che in particolari leghe permette ad una barra di flettersi senza rompersi, quando è sottoposta a pressioni eccezionali, riprendendo poi la propria forma originaria. Sono soggetti “d’acciaio”, capaci di non “rompersi” di fronte alle avversità (Walsh, 2008).

Le strategie di coping svolgono diverse funzioni fondamentali in base alle quali possono essere suddivise in diverse tipologie:

• Emotion-focused coping, che consiste nella regolazione delle reazioni emotive negative conseguenti alla situazione stressante • Problem-focused coping, che consiste nel tentativo di modificare o risolvere la situazione che sta minacciando o danneggiando l’individuo e la famiglia.

Un'altra modalità che riveste importante ruolo è il locus of control interno, che Rotter ha definito la modalità di un individuo di ritenere che gli eventi della sua vita siano prodotti dai suoi comportamenti o azioni piuttosto che da cause esterne indipendenti dalla propria volontà. Diversi studi hanno riscontrato che il locus of control sia altamente correlato allo stress genitoriale: genitori che si sentono competenti nel loro ruolo genitoriale e nel gestire la disabilità del figlio tendono ad avere livelli di stress più bassi.

Rotter ha definito gli indicatori di locus of control interno:

• ricerca attiva di strumenti, conoscenze e skills per affrontare situazioni e problemi; • ritenere che ciascun problema possa essere risolto o analizzato, che ciascun obiettivo sia raggiungibile (con le risorse adeguate); • credere nei propri potenziali, attivarsi per svilupparli; • “visione” delle possibili alternative di un azione finalizzata al raggiungimento di un obiettivo e tentativo di determinare le probabilità di successo di ciascuna azione.

· la capacità di far fronte alle avversità, interpretando la sofferenza come occasione di crescita;

• l’atteggiamento positivo, ovvero la capacità di veder oltre le difficoltà, ipotizzando comunque un futuro migliore; • la trascendenza e la spiritualità che aiutano a dare un signifcato alle sofferenze che si stanno affrontando inserendole in un più complessivo percorso di crescita spirituale.

La nascita di un figlio disabile pone la famiglia di fronte alla necessità di ripristinare un equilibrio sospeso o perduto e cioè di riorganizzarsi. Non è sempre un processo facile, nel quale il supporto psicologico può essere di notevole aiuto nell’accompagnare ogni membro della famiglia nel processo di elaborazione dei propri vissuti e delle proprie credenze verso un nuovo equilibrio individuale e familiare. La famiglia è definita da McGoldrick ed Heiman un sistema emozionale plurigenerazionale che racchiude al suo interno le esperienze di almeno tre generazioni, legate da vincoli di parentela, di sangue o legali e risulta quindi influenzato dalle relazioni passate, presenti e future.

Due esigenze della famiglia sono il trasformarsi in relazione ai bisogni evolutivi dei singoli componenti ed il conservare il senso della propria identità, stabilità e continuità nel tempo nonostante le trasformazioni

La famiglia è un sistema in continua evoluzione che affronta dei compiti evolutivi che richiedono un processo di riorganizzazione. Si parla infatti di ciclo di vita o fasi di transizione. Le famiglie si differenziano fra loro per le modalità con cui affrontano tali compiti evolutivi; anche il singolo nucleo familiare in tale percorso non rimane sempre uguale.

Nel corso del ciclo di vita della famiglia possono verificarsi una serie di eventi più o meno critici come l’ingresso o l’uscita di alcuni componenti della famiglia (separazioni genitoriali, lutti, malattie), problemi psicosociali legati allo sviluppo dei bambini o semplicemente eventi legati alla vita della coppia. Nessun evento in sé, tuttavia, è “critico” per lo sviluppo della famiglia, ma diventa rilevante sulla base di come viene percepito e dal significato ad esso attribuito, che è in gran parte correlato alle esperienze personali di tutti e alle credenze e ai valori sociali che sono trasmessi di generazione in generazione nella storia di ogni famiglia.

La modalità con la quale una famiglia reagisce a situazioni difficili è il risultato di una serie di fattori che si intrecciano:

le dinamiche familiari, la capacità di effettuare una valutazione corretta del problema, le strategie disponibili per affrontarlo, le risorse materiali e i supporti sociali forniti dall’esterno.

In generale la nascita di un bambino porta la coppia ad affrontare un certo grado di confusione e una serie di problemi, alcuni dei quali richiedono una ristrutturazione della relazione di coppia e delle solite routine familiari per fronteggiare le molteplici esigenze del nuovo nato. Tipicamente, dopo una fase iniziale di disorganizzazione, la coppia trova un equilibrio ed è in grado di integrare il nuovo bambino nel sistema, che diventa da diadico a triadico. Vi sono varie risorse che condizionano la ristrutturazione di un equilibrio familiare dinanzi alle difficoltà, tra le quali potrebbe esserci la nascita di un bambino con disabilità o grave malattia. Le risorse emozionali (capacità di gestire frustrazione, ansia, paura, impotenza, che, soprattutto all’inizio, sembrano sopraffare i genitori), le risorse cognitive (la necessità di elaborare l’evento e cercare di razionalizzarlo), le risorse sociali (la necessità di attivare tutte le risorse in ambito sociale e familiare che potrebbero essere necessarie per gestire meglio la situazione) e le risorse economiche (necessarie per fornire al bambino tutto ciò di cui ha bisogno, per garantirgli le migliori condizioni possibili per lo sviluppo).

La famiglia nella quale vi è la nascita di un bambino con disabilità può riorganizzarsi attraverso. Esistono quattro diverse modalità per ripristinare l’equilibrio:

· Child-oriented ovvero centrata sui bisogni del figlio

Home oriented ovvero centrata sulla creazione di un ambiente domestico consono alle nuove esigenze

Parent-oriented ovvero centrata sul nucleo familiare

Orientamento incerto

In alcuni casi la natura della disabilità viene resa “invisibile”, per vergogna, paura, il che riduce la possibilità per la famiglia di essere immediatamente compresa e supportata dall’ambiente sociale in cui vive: per questo motivo. La vergogna crea il rischio per i familiari di ridurre progressivamente gli scambi sociali, fino a giungere in alcuni casi ad un vero e proprio isolamento. Inoltre la sofferenza dei genitori, il loro senso di colpa e gli intensi sentimenti di vergogna da loro spesso provati possano compromettere il loro rapporto con il figlio e con chi si occupa di lui. Spesso, per far fronte alle maggiori responsabilità quotidiane legate all’accudimento del figlio disabile, le madri rinuncino a diverse opportunità di ambizione personale, molte infatti finiscono per rinunciare all’evolversi della carriera e ad impiegarsi in contesto lavorativo, altre ancora più giovani rinunciano al proseguimento degli studi. Tale situazione porterebbe in alcuni casi al manifestarsi di sentimenti di depressione e rabbia, legati anche alla fatica e alle tensioni quotidiane; inoltre sembra frequente una caduta del livello di autostima, soprattutto nei casi in cui la maternità costituisce per la donna la fonte principale di autorealizzazione. Studi cross-culturali condotti da McConkey et al. nel 2008, hanno evidenziato come le madri di bambini con disabilità mentale fossero soggette ad un incremento nel rischio di stress mentale, non alleviato peraltro dall’accesso ai servizi sociali e dalle strategie di coping messe in atto; altri evidenziano un’alta incidenza di sintomi depressivi nelle madri di bambini con disabilità intellettiva, come anche confermato dagli studi circa il sentimento di tristezza cronica (chronic sorrow) di Scornajenchi nel 2003.

Un punto cardinale riguarda le modalità con cui la diagnosi viene comunicata. La chiarezza e la gradualità delle informazioni nel contenuto e nella modalità di presentazione, sono elementi importanti che non possono impedire la sofferenza, ma potrebbero accompagnare la famiglia verso un cammino fatto di speranza e verso un naturale processo di adattamento. Un’adeguata modalità di riferire la diagnosi può stimolare reazioni di tipo costruttivo, attivo, anziché di rassegnazione.

La diagnosi il più delle volte provoca nei genitori un forte trauma, legato alla discrepanza tra il bambino “ideale” che hanno costruito come oggetto d’amore durante l’attesa e il bambino “imperfetto” dinanzi a cui si imbattono nella realtà. I genitori si trovano a dover elaborare un lutto, la perdita del bambino atteso che avevano già fortemente desiderato e ad investire le cariche affettive sul figlio reale. La perdita del loro figlio ideale e sognato durante il periodo di gestazione può rappresentare non solo una sconfitta personale, ma anche una sconfitta sociale che riaffiora ogni volta che il divario tra lo sviluppo del figlio disabile e gli altri bambini diventa più evidente.

Nonostante le difficoltà che nella quotidianità sono tenuti ad affrontare i componenti di queste famiglie ed in particolare i genitori, hanno proseguito nelle fasi del ciclo vitale del nucleo familiare senza cedere ed abbattersi, consentendo spesso lo sviluppo degli altri figli sani almeno quanto quelli della media. Dati di studi confermano che sono molto più frequenti le crisi coniugali, ma nella maggior parte dei casi esse vengono superate, dimostrando la capacità resiliente della coppia e di saper vivere e convivere con la disabilità e tutti i sacrifici che essa determina. Vi sono alcune famiglie che fanno della disabilità di un figlio un punto di forza e di evoluzione, diventando loro esempio di coraggio, orgoglio e sostegno di questi futuri ragazzini e di tanti altri genitori. Molti genitori di bambini affetti da sindromi genetiche rare istituiscono associazioni, raccolgono fondi destinati alle cure di malattie da molti sconosciute e si impegnano nel sociale affinchè vi sia l’integrazione di questi soggetti, l’inclusione e la riorganizzazione degli ambienti (scuole, uffici, palestre, negozi, strade, centri commerciali) affinchè possano accedervi con facilità. Si tratta di persone resilienti che possono essere considerate personalità eccezionali per forza di carattere, per capacità empatiche, per spiritualità e mettono al servizio dell’altro la loro personale esperienza affinchè sia motivo di crescita ed evoluzione sociale, oltre che esempio di atteggiamento resiliente per le altrefamiglie che possono ispirarsi. Riflettendo su queste situazioni eccezionali, e sulle altre più comuni, possiamo imparare molto come esseri umani e come clinici, orientando il nostro comportamento terapeutico più verso il potenziamento delle risorse che verso la sottolineatura dei rischi evolutivi. E’ importante in qualità di terapeuta avere cura delle modalità comunicative usate nei riguardi della famiglia del paziente. Della sensibilità, del tatto e sostegno di speranza e atteggiamenti positivi del terapeuta potranno beneficiare non solo le famiglie ma in maniera riflessa i nostri stessi pazienti.


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