Aggiornamento: 17 feb 2022

Ai giochi addio per sempre, sì, Non sono più cose per te, Ai giochi addio
Chissà perché nemmeno tu Ancora spiegartelo non puoi
Tu attendi un ospite Favoloso e incognito, Non sai che nome ha
Forse il suo nome è dolcezza, Ma forse invece è amaro. Forse il suo nome è splendore, Ma forse invece è oscuro
Tu vuoi scoprire i suoi misteri E al suo confronto tutto ti annoia
I suoi regali fantastici attendi Come le notti dell'Epifania Rimani sveglio pensando chissà Che mai ti porterà
Chissà perché nemmeno tu Ancora spiegartelo non puoi
“Ai giochi addio” è il testo di un brano scritto da Elsa Morante, accompagnato dalle musiche di Nino Rota e cantato da Bruno Filippini nel film di Franco Zeffirelli del 1968 “Romeo and Juliet”, pellicola di enorme successo a livello mondiale e caratterizzata da un’estrema fedeltà al dramma originale di Shakespeare, sia nei dialoghi, sia nella ambientazione; persino i due attori scelti dal regista Zeffirelli rispettavano l’età giovanissima dei personaggi di Romeo e Giulietta, rendendo così intatta, viva e intensa la tragedia shakespeariana. La storia di Romeo e Giulietta, conosciuta da molti, racconta di due giovani amanti sfortunati nella sorte a provenire da due famiglie veronesi nemiche tra loro, i Montecchi e i Capuleti. Trovatisi a un ballo in maschera organizzato dai Capuleti, la figlia del capostipite, Giulietta, e Romeo Montecchi si innamorano al primo sguardo, perdutamente. Il loro amore li porterà a incontrarsi, baciarsi, sposarsi in gran segreto, conducendo ad una scia di sangue tra le due famiglie rivali e, infine, alla morte stessa dei due giovani amanti, che preferirono lasciare questo mondo piuttosto che vedersi separati dai più.

È probabilmente la più intramontabile delle storie d’amore giovanile, antica, eppure che sa parlare ancora oggi alle generazioni attuali, in grado di narrare il modo con cui adolescenti e giovani vivono con intensità l’intimità relazionale, come ogni esperienza negativa, una breve separazione stessa, venga vissuta con drammaticità, come se fosse la fine del mondo, e ogni momento positivo, ogni momento di unione e di ri-unione, siano i più meravigliosi.

Proprio il testo di “Ai giochi Addio” tratta la fine dei giochi infantili, fatti di illusioni di onnipotenza, di giocattoli con cui trastullarsi, di quella dimensione in cui i bambini sono tali proprio quando non sanno ancora accedere a un senso dell’amore diverso da quello parentale…

I maschietti e le femminucce che si incontrano a quell’età si squadrano, sospettosi e, come i Montecchi e i Capuleti, a volte detestando l’uno la diversità dell’altra, diversità foriera di una minacciosa percezione di un mondo diverso da quello che il bambino e la bambina rispettivamente già conoscevano("il maschio diverso/contro Me femmina; la femmina diversa/contro Me maschio”)… Minacciosa, eppure attraente. Inevitabile. E poi, dalla ostile diversità dei due poli, del maschio/Montecchi e della femmina/Capuleti, ecco che qualcosa germoglia dal terreno del conflitto: l’incontro, proprio Romeo e Giulietta, lo stadio evolutivo successivo rispetto al mantenimento di un amore per la stirpe, per i parenti e per le regole, a cui i due giovani amanti, come nella canzone, hanno rinunciato, ribellandosi ai loro cognomi e i conseguenti doveri. E al contempo, ne conserva alcune delle caratteristiche dell’infanzia.
Approfondiamo meglio questa visione, apparentemente contraddittoria.
In adolescenza l’amore è passionale, totalizzante, perché tante sono innanzitutto le cose che cambiano nell’adolescente: il corpo cambia con gli ormoni e compaiono caratteri sessuali primari e secondari, le emozioni sono più intense e mutevoli, il pensiero inizia a farsi astratto e ipotetico, comincia la sperimentazione del piacere in sé con la masturbazione, mentre il rapporto relazionale con gli adulti non è più dipendente, ma ci sono i primi tentativi di spinta all’autonomia, rendendola l’età per eccellenza della contro-dipendenza (“dipendo da te ma voglio dimostrare il contrario”) e d'enorme considerazione e confronto con il gruppo dei pari, al fine di creare una sorta di identità diversa da quella ereditata dai genitori. Va da sé che è un’età di enormi conflitti e contraddizioni, dove il bisogno di carezze e di riconoscimento del bambino convive e si scontra con il tentativo di dimostrare che possono essere capaci di farcela da soli!

E l’amore diviene una spinta proprio a ritrovare in nuove forme l’antico legame genitore-figlio, nei pari, sperimentazione del modo in cui l’adolescente può amare ed essere amato, un po’ simile e un po’ differente da come lo era stato in passato, nel confronto con un Altro, un suo pari. Sono situazioni nuove, esplorative, di grandi idealizzazioni e della assoluta convinzione viscerale, quando tali amori nascono, che nulla possa separare i due giovani amanti. Il tutto, fomentato dal fattore sessuale, che diviene il mezzo principale con cui l’adolescente si misurerà per perdere chi era e ri-trovarsi con l’Altro. È, in altre parole, un’epoca di totali e necessarie e reciproche proiezioni, dove più che persone, gli adolescenti ritrovano tra altri adolescenti degli oggetti, intesi come parti di sé da configurare e ri-configurare continuamente nell'altro, come un'illusione, per poi rendersi conto che quelle componenti fanno parte di sé!
I sacri misteri dell’Amore, a cui l’adolescente e i giovani cominciano ad accedere, diventano allora importanti per sperimentare il concetto di Intimità e che distinguerò da cos’è un Amore, un amore maturo.

Rispetto all’Intimità, riprendendo “Fare l’Amore” (1970) di Eric Berne, “Più due persone si avvicinano l’una all’altra, più la loro relazione diventa indipendente e chiusa in sé. Perciò le relazioni più intime sono quelle che conosciamo meno” (p. 120), tracciandone l’esclusività e scoraggiandone implicitamente la possibilità di riuscire a capire veramente un rapporto intimo tra due persone se si è esterni a quel rapporto; “grazie alla loro fiducia reciproca, le due parti si rivelano liberamente i loro mondi segreti di percezione, esperienza e comportamento, e non chiedono nulla in cambio (nota mia: ovvero un tornaconto, un “do ut des”) fuorché la soddisfazione di aprire senza paura i cancelli di questi domini privati” (p. 121-122).
Senza paura. Aprirsi all’altro, senza paura, è l’elemento portante di una relazione intima, diversificandola da altre forme di relazioni quali l’ammirazione, il rispetto, la collaborazione, una conoscenza etc.
“I genitori insegnano ai bambini che non possono fissare la gente perché è da maleducati, a meno che non si guardi per uno scopo preciso, magari nell’espletamento di un’attività professionale come fanno i parrucchieri, i dermatologi e gli psichiatri. Il risultato è che la maggioranza degli esseri umani non vedono più, nel senso più pieno della parola, una persona dopo l’età di cinque anni. In una relazione intima, ciascuna delle due parti ritorna all’originale e innocente stato dell’io bambino, dove è libera da simili proibizioni parentali e dalle esigenze adulte e può vedere, ascoltare, e sentire nel modo più puro tutto ciò che il mondo ha da offrirgli” (p.122-123).
Pare come se il concetto dell’Intimità espresso da Berne sia più calzante rispetto al percorso evolutivo dell’adolescente innamorato/a, e di molte future forme di intimità che anche gli adulti possono decidere di concedersi.
E l’Amore? Cos’è questo Amore allora, e come mai lo distinguo dal concetto di Intimità? Riprendendo sempre la metafora del Bambino di Berne, “[…] il Bambino dell’intimità vede le cose come sono, in tutta la loro primordiale bellezza, mentre il Bambino dell’amore vi aggiunge qualcosa e adorna il giglio di un alone invisibile a tutti fuorché all’amante. Questa è una visione primaria: è così, credo, che il bambino vede la madre, non solo come l’oggetto o la persona più bella di questo mondo, ma anche con intorno un fulgore che mette in ombra tutti gli altri mondi” (p.124).
Una visione di Amore come modo di ritornare alla bellezza quasi unica del rapporto madre-bambino è ancora precoce per un adolescente, che, come detto, è in tale età occupato/a a trovare un suo modo innovativo e lecito di ricreare la bellezza di un legame sentimentale separandosi dai modelli genitoriali. Amore è “anteporre il bene e la felicità dell’altra persona all’interesse proprio” (p.124), un passo che già gli adulti stessi non sono spesso in grado di fare, e che l'adolescenza vuole imparare a fare per far capolino nel mondo dell’adulto, eppure senza poter ancora rinunciare del tutto alla bellezza di quel mondo di illusioni dell’infanzia che meravigliosamente decanta e proietta sull’amato/a per sperimentarsi, perché in quel momento tutto è incentrato sulla costruzione della sua identità.
A volte, nel mio percorso personale e professionale, noto negli adolescenti (e non solo) che l’illusione che questo sentimento di amore duri per sempre coesista nel suo opposto: “tanto non durerà per sempre”: oggi più che mai, è incredibile la velocità con cui adolescenti, giovani, e anche adulti riflettano l’andamento di una società consumistica, rapida, fast-food: ti trovo, ti annuso, ti scelgo, creiamo intimità, passione, e quando iniziano a essere messe in discussione le barriere onnipotenti dell’idea-di-chi-sono-e-cosa-voglio, quando si naviga in un rapporto a due in un mare sconosciuto, rimango deluso, sputo fuori l’amante, mi allontano, e vado a caccia di un altro/a, perché c’è il presupposto “tanto non sarebbe durata per sempre”. Che riflette una più profonda ferita: "tanto non verrò mai amato/a (come nell'infanzia)", una ferità che frantuma le illusioni, inaridisce, depaupera, come un buco nero, il significato che ha avuto l'esperienza in sé.

Molte volte mi sono chiesto e richiesto se, in un universo alternativo, Romeo e Giulietta, se non avessero consumato le loro vite tra pugnali e veleni, sarebbero stati insieme felici e contenti come nelle favole, o se il loro fosse destinato ad essere dopo l'innamoramento un “fuoco di paglia”, un amore adolescenziale fatto di tutto quello che abbiamo detto prima, proiezioni, aspettative, costruzioni di identità etc,, e di un "tanto non dura". Ci penso, e se guardo oltre muro dei dubbi, ritorno alla magia dell’illusione, come tutti noi facciamo quando amiamo, e mi dico che se anche fosse stato un fuoco di paglia, ciò non avrebbe tolto né aggiunto nulla all’intensità e all’importanza del legame. Shakespeare si è concentrato su un fermo immagine sentimentale preciso, con esito drammatico, proprio per non domandarsi questo, ma per rimanere inermi, disarmati, travolti di fronte alla forza dell’amore giovanile, ingovernabile, inevitabile, e che è il seme di speranza su cui è possibile creare dei rapporti duraturi e più maturi. Non è mai l'esito, o l'aspettativa dell'esito. O da dove si comincia. È il viaggio in sé, la sua presenza a render l'Amore degno d'esistenza. Come la canzone, “spiegarmelo non so” dice l’adolescente, privilegiato/a vivere con intensità tutte le dolcezze e le amarezze di questo sconosciuto, Amore, di cui cerca i suoi doni, che lasciano, citando la canzone vincitrice di Sanremo, “nudo con i brividi”.
Per ulteriori approfondimenti:
Ai giochi addio. Romeo e Giulietta: https://www.youtube.com/watch?v=b04hl191aU8
E. Berne (1970) Sex in Human Loving. New York: Simon and Schuster (trad. it Fare l’Amore, 2017, Giunti Editore S.p.A/Bompiani, Milano)