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5- Good morning, teacher!

Notte prima degli esami, avevo diciotto anni, come posso dimenticarla!A settembre, Giulia, la mia amica, si iscriverà all’università di lingue; Claudia partirà per Roma per provare a entrare al D.A.M.S.

 

Io sarò mamma!

 

Quella mattina non riuscivo nemmeno a entrare al banco: il pancione era enorme, sette mesi.

Ho dovuto richiedere un permesso per essere lì, per l’ultimo giorno da allieva, adolescente e spensierata, in Italia! Mi aspettavano il parto, il matrimonio e il trasferimento in Germania insieme a mio marito.

 

Ero felice di avere Sara, ero felice di diventare mamma, un po’ meno di sposarmi e soprattutto preoccupata di non poter continuare gli studi e di trasformarmi in casalinga. Io che avevo preso cento all’esame di Stato, io che mi vedevo laureata, io che volevo fare un viaggio con le amiche, io che desideravo essere ancora figlia: stavo diventando mamma.

 

Sono andata in Germania, Sara è nata!

Ho vissuto tutto cercando di essere all’altezza del mio ruolo, e forse io e Sara ci siamo sostenute a vicenda: io le dovevo insegnare la vita e lei mi ha insegnato a vivere.

Il mio matrimonio non è stato felice: mio marito non c’era mai, partiva e ci lasciava entrambe sole lì, in un altro paese, lontano da tutto e da tutti. Ma lì sono diventata forte, sono diventata donna; ho frequentato la “scuola della vita”, la “scuola della disperazione”. Ho dovuto fare nuove amicizie; da straniera in Germania ho conosciuto persone di tutte le nazionalità. Ho imparato il tedesco, ma anche lo spagnolo per la mia vicina, e qualche usanza marocchina dalla famiglia che abitava sopra casa mia. Dopo Sara, è arrivata Lara, e poi siamo tornati a Napoli.

 

Ormai il mio matrimonio era diventato la guerra dei Roses; mio marito è sempre stato diverso da me per cultura e per animo e, col passare degli anni, le cose erano peggiorate. Ero in gabbia e infelice, ma ero ancora piena di sogni e di amor proprio! L’unica cosa che mio marito mi dava, era una vita agiata: ero ricca di denaro ma povera dentro. Sono tornata a Napoli e mi sono separata, con tanta paura: avevo due figlie e temevo di non avere un lavoro, di non avere più soldi. Era rimasta solo la casa a Napoli che avevamo acquistato e le mie figlie, Sara e Lara.

 

Mi sono rimessa in gioco: ho iniziato a fare tanti lavoretti, ma mi sentivo in colpa perché avevo tolto il padre alle mie figlie e anche la sicurezza economica. Ero disperata: lui non mi dava il mantenimento; ho dovuto vendere l’oro, gli orologi e tutto quello che potevo pur di non far mancare niente alle mie figlie. Poi, un giorno, sono andata a lavorare in un call center. Lì ho trovato colleghe, amiche, sorelle.

Sono stati anni particolari: c’erano Roberta, Maria, Ilaria, Michela, Valeria. Ognuna con la sua vita, ognuna con la sua sofferenza, e ci siamo aiutate e sostenute l’una con l’altra. Le mie figlie e la mia casa erano diventate anche le loro. Le mie figlie erano come le loro, la mia casa era la loro.

 

C’erano Maria e Roberta che, scherzosamente, io definivo la voce della mia coscienza: una l’angioletto e l’altra il diavoletto. Ma entrambe mi hanno sostenuta, stimata, invogliata e consigliata. In loro mi sono sentita di nuovo un po’ figlia, quello che mi mancava da tanto — da quando ero diventata mamma e forse da sempre. Mi chiamavano “Mara-la-mamma”. Così mi chiamano ancora!

 

Nel mio cuore c’era sempre un grosso rimpianto: il non essermi laureata. Loro: «Vai, Mara, sei intelligente, ce la puoi fare, iscriviti all’università». Nel frattempo, avevo cambiato altri lavori, ma loro erano sempre lì, pronte ad ascoltarmi e ad aiutarmi. Sara si era diplomata ed era per scegliere l’università; Lara era diventata grande e bella. Ho sempre avuto il dubbio se fossi stata una brava mamma, ma chiunque incontrassi mi faceva i complimenti per le mie figlie.

 

Poi, un giorno, ho deciso di darmi quell’opportunità: mi sono iscritta a Giurisprudenza; nel frattempo avevo trovato lavoro presso lo studio di un avvocato. Ho studiato di notte, fra una cena da preparare e l’altra, tra i colloqui a scuola per le mie figlie, tra pianti e la paura di non farcela. Mi sono laureata quasi insieme a Sara, mentre Lara stava decidendo quale università scegliere. Siamo cresciute insieme, siamo diventate donne insieme, con le nostre ziette sempre pronte a gioire per ogni nostro successo!

 

Ed ora mi ritrovo di nuovo qui, in un’aula di liceo. Sono seduta alla cattedra. Ho vinto il concorso come insegnante! E quando entro in classe i miei alunni mi salutano: “Good morning, teacher!”

Io guardo i loro volti, leggo i sogni e le paure, e mi auguro per loro di avere sempre la forza di saper rinascere.


Storia di Mara, rubrica a cura di Maria Di Pascale

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