Soffrire per amore è doloroso. Quando finisce una storia si vive spesso un trauma, ma occorre davvero rinunciare all’amore per non soffrire?
“Rifiutarsi di amare per paura di soffrire è come rifiutarsi di vivere per paura di morire”
Così scriveva Jim Morrison, eppure la disconnessione interiore è un meccanismo che molte persone mettono in pratica. Significa scegliere di non provare nessun sentimento per non soffrire, significa “raffreddare” il cuore per proteggere l’anima da eventuali fallimenti, delusioni o ferite che non guariscono.
Questa strategia, in realtà, allontana da una partecipazione sana alla vita.
Analizziamo per un momento lo scopo delle emozioni che proviamo. Ogni volta che si attivano nel cervello, scatenano una reazione in tutto il nostro essere.
L’entusiasmo o la passione ci immergono in dinamiche che ci fanno sentire più energici e creativi che mai.
Il dispiacere, invece, ci allontana da qualcosa o qualcuno, ma chi pensa che le emozioni negative non abbiano uno scopo o servano soltanto a renderci infelici, si sbaglia.
In realtà, sono proprio queste emozioni che hanno permesso a noi esseri umani di imparare, adattarci e andare avanti nel corso della nostra evoluzione e ciclo vitale. L’ansia e la paura sono meccanismi di sopravvivenza, segnali di allarme che dobbiamo saper interpretare per poterli tradurre in risposte di adattamento che garantiscano la nostra integrità.
Disconnessione interiore: quando trascuriamo le nostre emozioni
L’uomo moderno si trova a contatto con diversi tipi di paure. Queste vanno da quelle suscitate da minacce esterne o pericoli fisici concreti fino ai timori che nascono dall’interno. Quei demoni personali che ci paralizzano, che ci tolgono l’aria e che senza dubbio hanno diverse cause.
Data la nostra difficoltà a gestire queste paure, talvolta optiamo per la sindrome da disconnessione interiore utilizzata come meccanismo di difesa. Questo dovrebbe metterci al riparo dall’esposizione a emozioni che ci appaiono troppo forti per essere gestite e ci sentiamo a rischio di esserne travolti.
Immaginiamo per un momento una persona qualsiasi, un giovane che abbia alle spalle un passato affettivo ricco di fallimenti.
Il suo livello di delusione è talmente profondo che il ragazzo ha cominciato una nuova fase della sua vita. Riduce al minimo il suo impegno emotivo. Non vuole soffrire ancora né provare altre delusioni o disinganni.
I suoi meccanismi di difesa per raggiungere questi obiettivi sono ormai affinati: ha iniziato una complessa dissociazione tra pensieri ed emozioni al punto di “intellettualizzare” qualsiasi cosa. In questo modo, protegge il suo isolamento emotivo in qualsiasi momento. Fa ragionamenti del tipo: “Sono felice da solo, penso che l’amore sia una perdita di tempo e che intralci il mio futuro professionale”.
Queste sono le premesse perché si possa sviluppare la sindrome da disconnessione interiore. Tuttavia, e qui arriva il dato interessante, oltre ad innalzare una barriera per evitare di partecipare attivamente alla vita, si rischia di affondare nello stesso vuoto emotivo da cui vogliamo proteggerci.
Gli effetti della disconnessione emotiva
Chiudere le porte alle passioni implica spesso applicare questo schema di comportamento a tutti gli ambiti della vita, perché la persona che la prova smette di registrare dentro di sé tutte le emozioni.
Con il tempo il rischio è che emergano apatia, disinteresse, inaridimento emotivo, malumore, tendenza alla chiusura in sé stessi, rimuginio, insonnia.
Vivere in connessione con le proprie emozioni: un salvavita quotidiano
“Se non avessi sofferto come hai sofferto, non avresti la profondità, l’umiltà e la compassione dell’essere umano” (Eckhart Tolle).
Scegliere di non provare nulla per non soffrire non ha senso. Non ha senso perché l’essere umano non è un’entità razionale né una macchina.
Ognuno di noi è fatto di emozioni che fungono da guida e consentono di entrare in connessione con gli altri, di imparare a rialzarsi dopo una caduta, di piangere ogni dolore, di ridere dalla felicità e andare avanti a testa alta dopo aver superato certi pericoli che hanno comunque rappresentato un momento di consapevolezza.
L’essere umano è progettato per agire, non per rimanere fermo e isolato nell’insoddisfazione.
Quando il nostro equilibrio interiore viene in qualche modo turbato, una buona idea è raccogliere le energie, essere creativi e coraggiosi per ritrovare l’omeostasi interiore.
Ed è così che possiamo raggiungere la pienezza emotiva o quel punto perfetto dove non manca nulla e niente fa male.
Concediamoci di provare di nuovo le emozioni per entrare in connessione prima con noi stessi e per “rischiare”, poi, di stabilire un contatto con chi ci sta attorno.
Alla fine, il nostro cervello è una meravigliosa entità sociale ed emotiva che ha bisogno degli altri per stare bene, per stare in pace e in un equilibrio che si rivela essere necessario.
Quindi, prendiamoci cura delle nostre emozioni.
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